Prevenzione incendi: in Italia vale il principio di proporzionalità
Gli adempimenti per la prevenzione incendi nel nostro paese variano a seconda delle categorie
Negli ultimi mesi, i fatti di cronaca hanno riproposto all’attenzione del grande pubblico il problema della sicurezza antincendio negli edifici; si pensi al rogo alla Grenfell Tower e alle mancanze immediatamente evidenziate in materia di prevenzione incendi. A partire dalle caratteristiche del rivestimento del grattacielo, nonostante l’indagine fosse ancora tutta da da sviscerare si sono individuate carenze macroscopiche che ben poche speranze lasciavano alle persone presenti nella struttura.
L’ondata di controlli che dal tragico evento ha preso il via in Gran Bretagna è di spunto per tornare a guardare in casa nostra e puntualizzare cosa la normativa per la prevenzione incendi prescrive in merito.
In Italia il quadro giuridico di riferimento è il D.P.R. 1 agosto 2011, n. 151 che entra nel dettaglio dei procedimenti della prevenzione incendi. Il regolamento recepisce quanto prescritto dalla norma n°122 del 30 luglio 2010, opportunamente intervenuta per favorire una semplificazione e uno snellimento delle attività amministrative. Con detta norma in buona sostanza la complessità degli adempimenti diventa strettamente dipendente dalle caratteristiche della struttura. Si tratta dunque dell’introduzione di un principio di proporzionalità che valuta le dimensioni, il settore di appartenenza e il grado di urgenza nella tutela dell’interesse pubblico.
Con questa premessa vengono prese in considerazione le attività soggette ai controlli di prevenzione incendi e ripartite in tre distinte categorie, evidentemente caratterizzate da differenti obblighi procedurali in materia di prevenzione.
Categoria A: si tratta delle attività che presentano rischi contenuti, caratterizzate da una regola tecnica di riferimento e da un basso livello di complessità; tale valutazione tiene conto dell’attività, del numero di persone che riunisce e della tipologia di materiali presenti.
Rientrano in questa categoria:
- Aziende e uffici con un numero di lavoranti compreso fra le 300 e le 500 persone
- Le strutture alberghiere con capacità ricettiva compresa fra 25 e 50 posti letto
- Le strutture sanitarie con capacità ricettiva compresa fra 25 e 50 posti letto
- Teatri, studi di posa, per riprese televisive e cinematografiche con capacità ricettiva fino a 25 persone
- Edifici ad uso civile di altezza compresa fra 24 e 32 metri
- Le autorimesse di grandezza compresa fra 300 e 1000 mq
- Gli impianti per la produzione di calore con potenzialità compresa fra 16 kW e 350 kw
Categoria B. Sono parte integrante di essa tutte le attività per tipologia aderenti a quelle della categoria A ma caratterizzate da un maggior livello di complessità. Si tratta di attività prive di una norma tecnica di riferimento, dunque non standardizzate, nelle quali il livello di rischio è considerato intermedio.
Categoria C. Rientrano in questa terza categoria evidentemente tutte le attività ritenute ad elevato livello di complessità e dunque di rischio, a prescindere dalla presenza o meno di una regola tecnica. Per citare le principali, possiamo considerare:
- Studi televisivi, teatri e auditorium atti a contenere oltre le 100 persone
- Le strutture alberghiere con capacità ricettiva superiore ai 100 posti letto
- Le strutture sanitarie con capacità ricettiva superiore ai 100 posti letto
- Aziende e uffici con un numero di lavoranti superiore alle 800 persone
- Edifici ad uso civile di altezza superiore ai 54 metri
- Stazioni ferroviarie, metropolitane, aeroporti
- Centrali termoelettriche