La porta dell’inferno e altri fuochi infiniti
Spaventosi crateri nel mezzo del nulla, colline che fumano da secoli, roghi che appaiono dietro una cascata, fiamme inestinguibili sul bordo della strada. Il nostro pianeta è un immensa raccolta di meraviglie, comprese alcune particolarmente bizzarre, ai limiti dell’inquietante. Tra queste ci sono quelli che vengono chiamati “fuochi infiniti”. Ardono da decenni, talvolta da secoli e persino da millenni, e nessuno è mai riuscito a spegnerli. Le cause possono essere naturali, più spesso sono il prodotto di attività umane. In qualche caso sono diventate mete turistiche o oggetto di culti e credenze popolari. Il più celebre è il Darvaza, in Turkmenistan, meglio conosciuto come “la porta dell’inferno”, ma ce ne sono altri.
Indice
- Darvaza, la porta dell’inferno
- I fuochi del Monte Chimera, in Turchia
- Le colline fumanti del Canada
- L’incendio delle miniere di Centralia, negli Stati Uniti
- Lo Yanar Dağ, la montagna che brucia dell’Azerbaigian
- Le cascate della fiamma eterna, nello stato di New York
- Il Brennender Berg, la montagna ardente della Germania
Darvaza, la porta dell’inferno
Nel 1971 un gruppo di geologi provenienti dall’Unione Sovietica arrivò nel deserto del Karakum, in Turkmenistan, in cerca di giacimenti petroliferi da sfruttare.
Si stabilirono poco lontano a un minuscolo villaggio chiamato Derweze e installarono una grande piattaforma per perforare il terreno. Invece di trovare il petrolio, gli scienziati scoprirono una sacca di gas naturale, ma a causa delle trivellazioni il terreno cedette, inghiottendo la piattaforma. Fortunatamente non ci furono vittime, ma dal cratere creatosi iniziò a uscire metano.
Per evitare che il pericoloso gas potesse diffondersi fino al villaggio, i geologi decisero di dare alle fiamme il cratere, convinti che in questo modo la fuoriuscita si sarebbe in breve esaurita. Non fu così: dal 1971 a oggi il fuoco è ancora acceso.
Trattandosi di un enorme “buco” infuocato del diametro di 70 metri in mezzo al nulla, che oltretutto emana un forte odore di zolfo, il cratere Darvaza è stato soprannominato “la porta dell’inferno” e “cancelli degli inferi”. Negli ultimi anni è diventato una grande attrazione turistica, tanto che è uno dei luoghi più visitati del paese.
Non si sa ancora quando il giacimento di gas naturale si esaurirà: fino ad allora migliaia di visitatori continueranno ad affacciarsi alle porte degli inferi.
I fuochi del Monte Chimera, in Turchia
Secondo la letteratura della Grecia antica, su una montagna della Licia, nell’attuale Turchia, viveva la mitologica Chimera, mostro capace di sputare fuoco e con un orribile corpo formato da parti di vari animali (leone, capra e serpente secondo alcune fonti). Plinio il Vecchio parlava di un monte “bruciante”, dove apparivano fiamme che non morivano mai, frutto del respiro della Chimera.
Nel 1811 l’esploratore britannico Francis Beaufort identificò il leggendario luogo con Yanartaş località nella parte sud-occidentale della penisola anatolica. Qui, effettivamente, appaiono fuochi tra le rocce. Si tratta di piccoli falò, che possono fuori uscire dal terreno in una grossa area di circa 5 km2. Il fenomeno è causato da emissioni di gas naturale e, secondo gli scienziati, va avanti da più di 2500 anni.
Le colline fumanti del Canada
Arrivando dal mare sulla costa orientale di Capo Bathurst, nella zona nord-occidentale del Canada, può capitare di vedere una barriera di fumo sprigionarsi dalle colline che si affacciano sull’acqua. Già nell’800 questa bizzarria venne notata dall’esploratore europeo John Franklin, che cercava una rotta per il celebre passaggio a nord-ovest. Notando l’odore acre del fumo, Franklin e i suoi andarono alla ricerca di attività vulcanica nell’area, senza trovarne traccia. Decise di chiamare quel fenomeno “smoking hills”.
Non si sa da quanto tempo quelle colline siano attive. Lo sono ancora oggi, e gli scienziati ne hanno spiegato il motivo. Si tratta di incendi naturali che derivano dall’autocombustione di depositi di lignite ricchi di zolfo.
L’incendio delle miniere di Centralia, negli Stati Uniti
Centralia, in Pennsylvania, è oggi un cittadina “fantasma” ma fino agli anni ’60 ospitava più di 1400 abitanti, perlopiù impiegati nelle locali miniere di carbone, attorno alle quali, nell’800, venne costruito il centro abitato.
Tutto cambiò a partire dal 1962, quando un incendio interessò le miniere sotterranee. Cominciò a bruciare a una profondità di circa 90 metri fino a propagarsi su una superficie di ben 15 kmq, causando la fuoriuscita di grandi quantità di monossido di carbonio in tutta l’area, di fatto rendendo inabitabile tutta la zona (oggi vi vivono appena 5 persone).
Le cause esatte dell’incendio sono ancora fonte di dibattito. C’è chi sostiene che tutto sia iniziato col tentativo di ripulire la discarica cittadina dando alle fiamme i rifiuti. Il fuoco sarebbe poi riuscito ad arrivare alle miniere, estendendosi in maniera incontrollata. Secondo altri, la causa è un camion della spazzatura che avrebbe scaricato rifiuti incandescenti nella fossa della discarica. Fatto sta che Centralia ancora oggi continua a bruciare lentamente. Si stima che il rogo si esaurirà solo tra più di due secoli.
Lo Yanar Dağ, la montagna che brucia dell’Azerbaigian
Bisogna stare attenti a dove si buttano le cicche di sigaretta, in Azerbaigian. Il paese è talmente ricco di giacimenti di petrolio e gas che non è poi così raro trovare fuochi che ardono per anni, decenni, secoli.
Proprio da una sigaretta accesa, irresponsabilmente gettata sul bordo di un colle da un pastore negli anni ’50, si è infatti creato lo Yanar Dağ, letteralmente “montagna che brucia” in lingua azera.
Si tratta di una piccola altura che sorge non lontana dalla capitale Baku. Lì, da circa settant’anni, le fiamme si alzano da una spaccatura lunga più o meno 10 metri. Nemmeno pioggia e vento sono mai riusciti a estinguere il rogo che, come la succitata “porta dell’inferno”, attira diversi turisti da tutto il paese e da fuori.
Le cascate della fiamma eterna, nello stato di New York
Chi visita il Chestnut Ridge Park, non lontano da Buffalo, nello stato di New York, potrebbe trovarsi di fronte a uno spettacolo assai suggestivo.
In una zona ricca di meraviglie naturali sorgono infatti le Eternal Flame Falls, cioè le “cascate della fiamma eterna”. Si tratta di una piccola cascata di circa 10 metri di altezza, suddivisa in due parti. Quella inferiore passa davanti a una grotta di dimensioni ridotte che ospita una sorgente di gas naturale e zolfo che produce una fiamma perpetua. La fiamma non è spontanea: può essere accesa e spenta.
In realtà molte altre zone in quell’area potrebbero innescare lo stesso fenomeno, ma il fuoco si spegnerebbe subito perché non protetto. Nel caso delle Eternal Flame Falls, invece, la fiamma è mantenuta al sicuro sia dal flusso della cascata che dalla grotta.
La vista è talmente affascinante da attrarre numerosi visitatori — anche troppi, tanto da mettere a rischio l’equilibrio dell’ecosistema del parco.
Il Brennender Berg, la montagna ardente della Germania
Nel 1770 Goethe visitò andò a visitare la zona delle miniere di carbone di Dudweiler nella regione del Saarland, situata nella parte sud-occidentale della Germania.
Dopo la visita scrisse questo: «Abbiamo sentito parlare delle abbondanti miniere di carbone di Dudweiler, degli impianti di ferro e di allume, e persino di una montagna in fiamme, e ci siamo preparati per vedere questa meraviglia vicina… Siamo entrati in una gola e ci siamo trovati nelle vicinanze della montagna in fiamme. Eravamo avvolti da un forte odore di zolfo; un lato della grotta era quasi incandescente e coperto di roccia rossastra arrostita. Dalle fessure usciva un vapore denso e potevamo sentire il terreno caldo anche attraverso le spesse suole delle nostre scarpe».
Goethe era arrivato nel cosiddetto “Brennender Berg”, la “montagna bruciante”. Si tratta di una gola che ospita un giacimento di carbone che brucia ininterrottamente dal 1681. Non si vedono fiamme vive ma tra le spaccature della roccia si può a volte scorgere fumo insieme un brillare luminoso.
Le cause dell’incendio sono ancora ignote. Si presume sia una conseguenza inaspettata dell’attività delle miniere di carbone della zona.
Secondo la tradizione locale, invece, fu un pastore a innescare involontariamente il rogo, accendendo un fuoco su un ceppo, senza accorgersi che le fiamme si erano propagate fino alle radici e da lì al giacimento di carbone.