L’incendio di Dervio
Firewall racconta i grandi incendi della storia: tragedie che hanno portato lutti e distruzione, generate da eventi naturali, dal caso o dall’intervento umano. E fu quanto meno negligenza la causa dell’incendio che nel 1883 colpì Dervio, piccolo comune sulla sponda orientale del lago di Como, provocando la morte di 51 persone.
DERVIO
Il territorio di Dervio è tagliato in due dal torrente Varrone e si inerpica dalle sponde del lago fino alla montagna. Il nome del paese si pensa derivi dalla radice celtica Derw o Dervo che significa quercia. In epoca romana, da Dervio passava la via Spluga, che collegava Milano con Lindau in Germania. In epoca medioevale, Dervio fu conteso da diversi casati: quello del condottiero Pietro II Dal Verme, quindi della figlia del duca di Milano Galeazzo Maria Sforza e poi degli Sfrondati.
Nel 1883 Dervio contava 940 abitanti, che vivevano soprattutto di agricoltura o del lavoro femminile nelle filande della zona. Gente operosa che faticava dall’alba al tramonto, con poche occasioni di svago nelle sagre e durante le feste religiose. Così anche l’arrivo in paese di una piccola compagnia poteva suscitare gran fermento, soprattutto tra i più giovani, “che non sapevano staccare gli occhi” dai manifesti teatrali che venivano affissi in paese.
L’INCENDIO DI DERVIO
Sabato 23 giugno 1883, per i festeggiamenti di san Giovanni Battista, venne organizzata una rappresentazione con marionette, Il martirio di santa Filomena. Lo spettacolo era inizialmente previsto all’Osteria del Sollievo, ma la buona affluenza del pubblico spinse il burattinaio milanese, tale Alessandro Sartirana, a posticipare la rappresentazione alla domenica, spostandola nel più ampio stanzone di circa 60 metri quadrati posto al piano superiore di una cascina, che al piano inferiore ospitava una stalla con il fieno.
Nel locale, dotato di 5 finestre senza imposte e di una porta che dava direttamente su una scala esterna, il palcoscenico era stato montato sopra un mucchio di fieno coperto da uno strato di brugo, un materiale altamente infiammabile. Lo “stallazzo” la sera dello spettacolo traboccava di pubblico: circa 100 persone, soprattutto donne e bambini, strette in uno spazio angusto.
Al culmine della rappresentazione, con l’assunzione in cielo della santa, Sartirana incaricò la moglie di accendere dei fuochi d’artificio per rendere più suggestiva la scena: “Il seme della catastrofe era così gettato”, raccontò un giornale dell’epoca. Una scintilla si infilò, infatti, tra le fessure del palco e finì sul fieno che subito iniziò ad ardere. Gli spettatori al momento non si accorsero di nulla, scambiando quel crepitare per lo scoppiettio dei fuochi d’artificio. Quando, dopo qualche momento di esitazione, Saltirana urlò “Al fuoco, si salvi chi può!”, si scatenò il panico.
Pochi ebbero la prontezza di utilizzare le finestre per salvarsi. Molti si diressero verso l’unica porta d’uscita, in parte ostruita da un tavolino utilizzato per l’incasso dei biglietti. Nel pigia pigia si accalcò in pochissimo spazio una cinquantina di persone terrorizzate, che cercavano di forzare la porta. Molte morirono rapidamente, asfissiate dal fumo denso e soffocante del fieno, delle tele e dei legnami. “Le fiamme inferocirono – così riportarono i giornali – quasi unicamente contro cadaveri”.
In un attimo tutto il paese si precipitò allo “stallazzo”. Alcuni bambini gettati dai genitori attraverso le finestre, finirono fra le braccia della gente accorsa. I primi ad occuparsi dei soccorsi furono una guardia doganale e un barcaiolo, che aiutò parecchie persone, servendosi di una scala. Sartirana sopravvisse, ma non la moglie. Luigi Orio, che era presente alla recita ed era fuggito per tempo, tornò e salvò almeno 5 compaesani. Il martellare delle campane chiamò altra gente dai paesi vicini. Giunsero il sindaco Antonio Porta e i carabinieri col pretore. “Le colonne di fuoco, le grida dei soffocati, l’urlo dei bruciati mettevano i brividi. Era un chiamarsi per nome, un invocare la Provvidenza… poi più nulla. L’ecatombe era compiuta”.
L’incendio fu spento verso le 2 di notte. Solo allora si riuscì a sfondare la porta barricata di cadaveri che giacevano l’uno sopra l’altro. Al mattino iniziò la conta delle vittime: erano 47. L’opera di riconoscimento fu quanto mai penosa, i corpi non conservavano più fattezze umane. Il funerale si svolse quello stesso giorno, alle 8 di sera. Le bare, deposte in 5 grandi carri, erano coperte di tele nere e adorne di corone di fiori. Nelle settimane successive, morirono altre 4 persone a causa delle gravi ustioni riportate.
LA SOLIDARIETÀ E IL PROCESSO
Tutti i giornali della provincia aprirono sottoscrizioni. Offerte di denaro giunsero da ogni parte d’Italia e anche da molti derviesi residenti all’estero. A dicembre si apri il processo contro il marionettista, responsabile involontario della tragedia, imputato per aver dato lo spettacolo senza la prescritta licenza e per aver imprudentemente acceso fuochi d’artificio, e verso l’ex sindaco Antonio Porta (subito sospeso dalla carica), che nulla fece per impedire lo svolgimento della rappresentazione.
Porta fu inizialmente assolto (condannato poi in appello a 50 lire di ammenda), mentre il Sartirana fu condannato al pagamento di un’ammenda di 30 lire. Un anno dopo la sciagura, in ricordo di quella tragica notte di San Giovanni, la cittadinanza volle erigere un cippo in un angolo del cimitero. I nomi delle 51 vittime sono impressi nel marmo.