Gli incendi in Siberia del 2019
Firewall racconta i grandi incendi della storia: tragedie che hanno portato morte e distruzione, generate da eventi naturali, dal caso o dall’intervento umano. Gli incendi in Siberia del 2019 hanno distrutto ettari di boschi provocando un disastro ambientale senza precedenti in una zona che fino ad allora non era mai stata interessata da fenomeni di queste proporzioni.
Cosa accadde in Siberia nel 2019
Circa 400 roghi. Oltre 800 centri abitati coinvolti. 1 milione di ettari l’area interessata, tra i territori di Krasnojarsk, Transbajkalia e Irkutsk, e le repubbliche di Sacha-Jacuzia e Buriazia. Questo il bilancio della stagione di incendi che nell’estate del 2019 hanno colpito parte della Siberia.
Per combatterli sono state impiegate ben 8 milioni di tonnellate d’acqua e quasi 3000 uomini, 390 mezzi e 28 velivoli.
La massa di fumo liberatasi nell’aria era così imponente da attraversare lo stretto di Bering, raggiungendo le coste degli Stati Uniti e del Canada, andando a mescolarsi con quello degli incendi che, nello stesso periodo, interessavano anche l’Alaska.
Alcune compagnie petrolifere russe hanno addirittura evacuato i propri dipendenti da diverse stazioni siberiane specializzate in trivellazioni, in quanto la visibilità era scesa fino a 20 metri rendendo impossibile continuare il lavoro.
L’esercito russo ha tentato di fare il possibile per domare gli incendi, concentrandosi però principalmente nelle zone più a rischio, vicino a centri abitati, lasciando perdere le zone più isolate e remote.
Il giornalista della BBC Steve Rosenberg ha visitato alcune zone lungo il fiume Lena, nella regione di Irkutsk, e ha raccontato di come gli abitanti della zona abbiano provato a circoscrivere le fiamme utilizzando i bulldozer per creare fossi privi di vegetazione attorno ai centri abitati, così da confinare gli incendi. Misura che non sempre ha avuto successo.
Le cause degli incendi in Siberia
Sergej Abanin, vice direttore del centro contro le catastrofi naturali del Ministero degli affari di difesa civile, delle situazioni di emergenza e dell’eliminazione delle conseguenze di disastri naturali, ha dichiarato: «La superficie invasa dagli incendi è aumentata in quanto si sono presentate le condizioni per un lungo periodo di clima asciutto anticiclonico e per via dell’assenza di misure attive per estinguere la maggior parte dei focolai nei territori più isolati».
Tra maggio e ottobre la Siberia è spesso interessata da incendi, ma durata e intensità, nell’estate del 2019, sono state senza precedenti. Nelle regioni colpite, le temperature medie registrate erano di circa 8-10 C° superiori alle medie stagionali. L’aria calda e il terreno secco hanno dunque favorito il propagarsi delle fiamme, spesso innescata dai numerosi fulmini.
Si è indagato anche su una pista dolosa. Pare infatti che alcuni incendi siano stati causati da atti volontari da parte di individui che trafugavano illegalmente legname.
Errori e ritardi
Il presidente russo Vladimir Putin ha inviato l’esercito per aiutare i vigili del fuoco e i forestali. L’intervento, tuttavia, è stato tardivo. Putin si è mosso dopo un mese dalle prime richieste di intervento, e solo in seguito a grandi proteste scoppiate in tutto il paese e suoi social. A un certo punto il fumo nero proveniente dalla Siberia ha raggiunto il cielo di Mosca, scatenando l’opinione pubblica.
D’altro canto, la procura russa specializzata in crimini ambientali ha accusato le regioni siberiane di non essere intervenute tempestivamente a causa di rallentamenti burocratici, e di aver fornito informazioni falsate sulla situazione.
Una catastrofe ambientale
Alcune associazioni ambientaliste si sono attivate per proteggere flora e fauna della Siberia. Oltre a vaste aree di vegetazione andate distrutte, molti animali sono morti o sono scappati dal loro habitat naturale.
I roghi siberiani del 2019 hanno immesso nell’atmosfera oltre 166 milioni di tonnellate di anidride carbonica, equivalenti alle emissioni annuali di 36 milioni di auto.
Un ulteriore problema è stata la produzione di enormi quantità di nero di carbone, una forma di particolato carbonioso che, oltre a essere cancerogena, è arrivata fino all’Artico. Depositandosi sul ghiaccio ne riduce l’albedo, cioè il potere riflettente, facilitando quindi l’assorbimento di calore. La conseguenza è che il ghiaccio del permafrost si scioglie più velocemente, rilasciando grandi quantità di gas serra.
Se questo non bastasse, molti scienziati sono preoccupati del fatto che a essere interessati dal fuoco sono stati terreni ricchi di torba e carbone. A causa delle fiamme, questi producono biossido di carbonio e metano in quantità elevata.
I terribili incendi scoppiati in Siberia del 2019 fanno presupporre che, nel prossimo futuro, si avranno altri eventi simili. I danni per il nostro pianeta sarebbero incalcolabili. L’unico modo per prevenire situazioni del genere è ridurre quanto più possibile il riscaldamento globale.