Gli incendi in Amazzonia del 2019
Firewall racconta i grandi incendi della storia: tragedie che hanno portato morte e distruzione, generate da eventi naturali, dal caso o dall’intervento umano. Gli incendi in Amazzonia — nel cosiddetto Polmone Verde del pianeta — hanno distrutto, nel 2019, chilometri di vegetazione e ucciso animali. Un disastro naturale che purtroppo è continuato anche nel 2020 e nel 2021, e chissà per quanto tempo ancora andrà avanti.
La foresta più importante del mondo
L’Amazzonia è una regione geografica dell’America Meridionale. Si estende su una superficie di 6,7 milioni di km² suddivisi in nove paesi.
Ospita la seconda più grande foresta del mondo (la prima è la taiga russo-siberiana) e, col Rio delle Amazzoni e i suoi affluenti, il maggiore bacino fluviale del pianeta.
Abitata da molte popolazioni indigene, la foresta amazzonica è suddivisa tra Brasile (per il 60%), Perù (13%), Colombia (10%) e, in parti minori, Venezuela, Ecuador, Bolivia, Guyana, Suriname e Guyana francese. Al suo interno vive oltre un decimo di tutte le specie ad oggi conosciute sul nostro pianeta.
Gli incendi in Amazzonia del 2019
Nel 2019 sono stati registrati migliaia di incendi. Si parla di oltre 70mila roghi: un aumento pari all’83% rispetto all’anno precedente. Sono andati in fumo 120.000 km² di foresta amazzonica.
Il 9 agosto lo stato federato di Amazonas (il Brasile è suddiviso in 26 stati più un Distretto Federale che ospita la capitale Brasilia) ha dichiarato lo stato di emergenza.
Nelle ecoregioni del Pantanal (la più grande zona umida del mondo: un’immensa pianura alluvionale soggetta a inondazioni periodiche) e Cerrado (una grande savana tropicale, caratterizzata da una grande biodiversità di fauna e flora) l’allarme è sempre stato alto. Qui il fuoco ha distrutto 3,5 milioni di ettari. Circa il 20% degli incendi si è verificato in aree naturali protette, il 6% delle quali appartiene a popoli indigeni. 4mila le famiglie che hanno dovuto lasciare la loro terra. Moltissime le specie animali colpite.
Le cause degli incendi in Amazzonia
Le responsabilità maggiori sono da imputare alle attività agricole e di allevamento.
Uno dei più grandi problemi è una rudimentale tecnica di fertilizzazione del terreno chiamata debbio. Questa consiste nell’incendio dei residui colturali e della vegetazione. Agricoltori che danno fuoco ai loro appezzamenti, senza alcun permesso, per ripulirli dalle sterpaglie o per concimare il terreno.
Un’altra causa è la deforestazione. Il 75% circa dei focolai si è verificato in zone che, se fino a pochi anni fa erano occupate dalle foreste, oggi sono diventate pascoli o aree agricole coltivate a soia.
A questi ritmi, si stima che nel 2030 oltre un quarto del bioma amazzonico sarà stato completamente spogliato di alberi.
Responsabile di almeno metà di questa devastazione è il Brasile del presidente Jair Bolsonaro (in carica proprio dal 2019), ma negli ultimi anni pure Bolivia e Perù hanno aumentato le opere di disboscamento.
Ma non ci sono soltanto agricoltura e allevamento tra le attività che contribuiscono al dramma. La deforestazione viene messa in atto anche per costruire dighe idroelettriche e per l’industria mineraria: la “corsa all’oro” sta distruggendo molte aree protette, in particolare le terre di due popolazioni indigene, i Munduruku e i Kayapò.
In questo scenario già nefasto, si inserisce inoltre la crisi climatica. Da conseguenza, i cambiamenti climatici diventano anche concausa, per via di un clima sempre più caldo e secco, che favorisce lo svilupparsi e diffondersi dei roghi.
Le conseguenze degli incendi in Amazzonia
Mette i brividi anche solo pensare che negli ultimi 10 anni siano spariti circa 300mila km² di foresta amazzonica. È la stessa superficie dell’Italia, completamente spazzata via.
Va ricordato che la foresta amazzonica viene soprannominata Polmone Verde per la sua capacità di immagazzinare e assorbire enormi quantità di gas serra. Tuttavia da circa 10 anni la differenza tra assorbimento ed emissione di questi gas si è ribaltata rispetto al passato. Oggi la foresta emette più di quanto riesca ad assorbire.
Il programma di ricerca europeo Copernicus Climate Change Service ha rilevato nell’agosto del 2019 un picco nelle emissioni di monossido e diossido di carbonio.
Oltre a questo, sono diventate a rischio di estinzione 180 specie animali e 85 specie vegetali, molte delle quali già poste in aree protette. Il fuoco ha colpito anche queste zone, mettendo sempre più a rischio la biodiversità.
Alcuni ricercatori e scienziati affermano che ci stiamo avvicinando al cosiddetto tipping point, cioè a quel punto al di là del quale l’ecosistema rischia di collassare, senza possibilità di ritorno.
La perdita di un quinto o un quarto della vegetazione amazzonica potrebbe portare a una riduzione delle piogge e dell’umidità indispensabili per la vita della foresta stessa. Al ritmo attuale, il tipping point sarà raggiunto tra 10 o 15 anni.
Critiche e reazioni agli incendi dell’Amazzonia del 2019
Bolsonaro, presidente del Brasile dal 1º gennaio 2019, non ha annunciato alcuna misura concreta per combattere la deforestazione. Anzi, durante il suo mandato le attività di disboscamento sono aumentate dell’81%.
La politica del presidente brasiliano, negazionista riguardo alla crisi climatica, ha ignorato il dramma degli incendi. La sua amministrazione appoggia e autorizza le attività minerarie, quelle di sfruttamento del legno, di allevamento intensivo e di colture intensive, persino nelle riserve indigene.
Molte ONG ambientaliste — sia locali che non — si sono schierate contro Bolsonaro. Ci sono state numerose proteste in tutto il mondo, da Londra a Berlino a Mumbai. Anche diversi paesi (la Francia di Macron, l’Irlanda di Varadkar) hanno apertamente minacciato il Brasile di ripercussioni commerciali se non fossero migliorate le politiche ambientali. Il ministro delle finanze finlandese Mika Lintilä ha proposto di imporre un bando sulla carne brasiliana.
Bolsonaro, tuttavia, ha sempre respinto le accuse e le richieste, continuando imperterrito per la sua strada.
Anche se il 2019, con quasi 10.000 km² andati in fumo, resta, per ora, l’anno peggiore di sempre per l’Amazzonia, la devastazione è proseguita anche nel 2020 e nel 2021. Tutto questo mentre i dati diffusi dalle associazioni ambientaliste e dagli scienziati indicano costantemente che il punto di non ritorno è dietro l’angolo.