Cambiamenti climatici e rischio incendi in Italia
Ondate di calore anomale, ghiacciai che si sciolgono, siccità diffusa, fenomeni atmosferici estremi. Negli ultimi anni gli effetti della crisi climatica si sono fatti sempre più evidenti e anche i cosiddetti “negazionisti” hanno iniziato a convincersi. Scienziati ed esperti in tutto il mondo continuano a pubblicare studi che suggeriscono una situazione drammatica. Ma quale saranno i reali rischi per il nostro paese? A evidenziarli ci sono le analisi del CMCC, Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici. È una fondazione nata nel 2005 che riunisce nove realtà: Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Università degli Studi del Salento, Centro Italiano Ricerche Aerospaziali, Università Ca’ Foscari Venezia, Università di Sassari, Università della Tuscia, Politecnico di Milano, Resources for the Future, Università di Bologna. Tra i diversi studi del CMCC anche quello sul rischio incendi in Italia.
Indice
I report sul rischio climatico
Tra il 2020 e il 2021 il CMCC ha messo online tre rapporti:
- I cambiamenti climatici in Italia, che fornisce informazioni su cosa possiamo aspettarci per il futuro in cinque diversi settori. Questi sono: ambiente urbano; rischio geo-idrologico; risorse idriche; agricoltura e allevamento; incendi. In base alle previsioni del clima per i prossimi anni, possiamo cercare di capire come intervenire;
- I cambiamenti climatici in sei città italiane: mostra i dati sui cambiamenti climatici a Bologna, Milano, Napoli, Roma, Torino e Venezia. Spiega qual è l’impatto e come stanno agendo di conseguenza le amministrazioni di questi sei centri urbani. Bologna, al momento, sembra quella più preparata;
- G20 – Atlante del Rischio Climatico Impatti, politiche economia [in inglese]: studia l’impatto della crisi climatica sulla società e sull’economia di ogni singolo paese del G20.
La situazione del rischio incendi in Italia
Le informazioni più interessanti sul rischio incendi arrivano dal primo rapporto: I cambiamenti climatici in Italia.
Qui si parla del patrimonio forestale italiano, che attualmente consta di circa 9 milioni di ettari di foreste e quasi 2 milioni di ettari di altre aree boscate. Si tratta di numeri in aumento: negli ultimi dieci anni la superficie forestale e boschiva è cresciuta del 6%. Attualmente tale superficie copre addirittura il 35% del territorio italiano e influisce sull’1% del nostro PIL.
Se questo aumento potrebbe sembrare un buona notizia, in realtà non sempre lo è. L’incremento di territorio boschivo, infatti, è dovuto in alcuni casi all’abbandono di aree coltivate e pascoli, che si traduce in foreste poco o per nulla gestite, e dunque più a rischio incendio.
In tutta l’Europa meridionale gli incendi boschivi sono una piaga annuale. In Italia, dal 1980 al 2018 la media dei roghi è arrivata a quasi 9000 casi all’anno. Mediamente la superficie interessata è di più di 100.000 ettari (anche in questo caso il valore è annuale). La spesa per estinguere le fiamme e per i danni da esse causati è di centinaia di milioni di euro all’anno. Inoltre le aree più colpite (al sud e nelle zone interne poco abitate) sono solitamente anche quelle che già soffrono il divario economico e sociale, che quindi finirà per accentuarsi.
Tali episodi sono sempre più numerosi, e lo saranno ancora di più nel prossimo futuro, per via di fattori che vanno a sommarsi e a influenzarsi tra loro:
- aumento delle ondate di calore;
- periodi di siccità più lunghi;
- abbandono dei pascoli e delle aree coltivate;
- esodo demografico verso le città e le zone costiere.
Questo, secondo il rapporto si tradurrà in:
- allungamento della stagione degli incendi (da 20 a 40 giorni in più, entro la fine del secolo);
- aumento delle giornate di pericolosità estrema;
- incremento della superficie forestale interessata dai roghi (dal 21 al 43% entro il 2100);
- maggiori emissioni di gas serra (94% in più in tutta l’area mediterranea entro fine secolo).
Occorre ripensare le strategie di lotta agli incendi boschivi
Secondo il CMCC, la strategia migliore è l’adattamento. La crisi climatica è già qui, ci viviamo letteralmente dentro, e le modalità di lotta agli incendi del passato non sono più sufficienti.
Se la cosiddetta “lotta attiva” (cioè avvistamento degli incendi, allarme e spegnimento con mezzi aerei e non) ha finora funzionato in condizioni climatiche normali, con l’aumento dei fenomeni estremi potrebbe non essere più sufficiente.
Come agire dunque? In un recente studio il CMCC propone un cambiamento totale di paradigma, basato non più sull’agire in caso di emergenza ma sul valutare a priori il rischio e adattarsi alla situazione. In che modo? Adottando prospettive a medio e lungo termine, e coinvolgendo ogni livello della società, dalla politica nazionale all’amministrazione locale, fino alle singole comunità.
«Maggior cura del territorio e un maggiore coinvolgimento delle comunità, che non rappresenta più solo un elemento da evacuare in condizioni di criticità, ma un attore in grado di contribuire a fare prevenzione nel territorio in cui vive» sostiene la fondazione.