Cos’è la pirografia, l’arte di disegnare col fuoco
La scoperta di come controllare e produrre le fiamme ha permesso ai primi uomini di avere un’alimentazione migliore, di riscaldarsi, cacciare e proteggersi, contribuendo all’evoluzione del genere umano per come lo conosciamo. Presto, il fuoco è diventato anche un strumento per disegnare. Una delle forme d’arte più antiche in assoluto consiste infatti nello “scrivere con il fuoco”. È praticata da migliaia di anni in tutto il mondo sotto vari nomi differenti. Oggi la conosciamo come pirografia, termine che unisce due parole greche: pyrós, che è appunto il fuoco, e graphía, cioè scrittura.
In cosa consiste la pirografia?
Si tratta di una tecnica di incisione. Utilizzando una punta metallica incandescente — che può avere forme e dimensioni differenti — si va a bruciare un supporto lasciandovi una traccia.
Il materiale da incidere più diffuso in assoluto è il legno, ma la pirografia si può praticare anche su pelle, cuoio, vetro, osso, carta e svariati tipi di tessuto.
In base al tipo di strumento, alla forma delle punte metalliche e alla temperatura, si possono ottenere diversi tipi di segno, di tonalità e di sfumature. L’effetto finale assomiglia molto a un tatuaggio.
Chi ha inventato la pirografia?
Non ci sono informazioni certe ma solo ipotesi. Si pensa che già dalla preistoria l’uomo abbia utilizzato i resti carbonizzati dei fuochi per disegnare sulla pietra e in seguito su legno e sulla pelle. Trattandosi di materiali deperibili, tuttavia, i primi manufatti giunti fino a noi risalgono a un’epoca molto più tarda, e cioè da primo secolo avanti Cristo. Provengono dal Perù e dal Regno Unito, quando questo era ancora in mano agli antichi romani. Più o meno nello stesso periodo, in Cina la pirografia veniva praticata sotto il nome di “ricamo con l’ago di fuoco”.
Nel Medioevo iniziarono a diffondersi dei fornelli a legna di piccole dimensioni, portatili, con coperchi forati in cui venivano inseriti degli attizzatoi di varie dimensioni. Immersi nei carboni ardenti, gli attizzatoi diventavano incandescenti così da essere utilizzati per disegnare.
Gli anni d’oro della pirografia furono indubbiamente quelli dell’epoca vittoriana. Proprio allora venne coniato il termine pirografia.
Tra la metà dell’800 e i primi del ‘900 furono moltissimi gli artisti che si misurarono con questa tecnica. Nei musei di mezzo mondo ci sono ancora splendide opere in legno incise col fuoco in stile Art Nouveau.
In quello stesso periodo un architetto australiano, Alfred Smart, inventò il primo strumento meccanico per la pirografia. Funzionava a benzene, i cui fumi risalivano attraverso un tubo che andava a riscaldare il “pennino” in metallo di un’apposita stilo.
Poco più tardi si passò alle macchinette elettriche, assai più efficaci e semplici da usare. Diverse aziende iniziarono a produrle e si buttarono nella vendita per corrispondenza. La pirografia diventò, soprattutto nel Regno Unito e negli Stati Uniti, un hobby casalingo molto diffuso. Complici di questa “piro-mania” furono le riviste: sia quelle femminili, che insegnavano a decorare, sia quelle maschili, tipo Popular Science, che spiegava come costruire da soli una penna elettrica per pirografare.
La pirografia oggi
Non siamo più nell’epoca vittoriana e la diffusione di questa forma d’arte è notevolmente diminuita. Ci sono però ancora artisti e hobbisti di tutto il mondo che la praticano.
Oggi gli strumenti per “disegnare sul fuoco” sono molti e si dividono in tre grandi categorie:
- bruciatori a punta solida: assomigliano alle macchine saldatrici. La punta è solitamente in ottone, riscaldata elettricamente e a temperatura costante;
- bruciatori con pennino metallico: permettono di variare la temperatura così da ottenere segni dalle intensità differente. I pennini sono generalmente intercambiabili in modo da realizzare molti effetti differenti;
- taglierine laser: funzionano automaticamente per mezzo di appositi software e possono essere di tante dimensioni. Trasferiscono qualsiasi immagine sul materiale di supporto appunto attraverso il laser.